martedì 1 gennaio 2013

per esclusione degli altri pezzi spersi

Poi me ne parli, dice. Faccio un minimo no con la testa. Non fa conto del no.
Sembri uno che sa parecchie cose, dice.
Nego: neanche so da che parte della fetta è spalmato il burro.
Ride.
E una, penso e mi accorgo di come si allarga ai lati la sua bocca e scintilla tra i denti la lingua e mi pizzica il naso ad affacciarmi sulla sua risata.

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Mi viene a trovare una donna qualche tempo fa.
Le apro la porta, è intatta, viene dritta da vent'anni prima, una distanza che addosso a lei sembra il tempo di una corsa in tram.
Vuole sapere di me, vuole vedere se combaciano due pezzi di tempo. Tira fuori le mie lettere.
Le scorro per la prima volta. Sì, quando le scrivo non rileggo, chiudo e spedisco, adesso come allora.
Sotto la carta stagionata sento la mia faccia di prima, prima di cambiare il mondo, e la sento di pasta ancora buona a tutto.

Le dico che deve portare al ragazzo di allora l’abbraccio custodito in grembo.
Che lei è ancora intera e può ritrovarlo uno così. Insomma le dico: non sono io.

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Annusi, chiede. Sì annuso le tue parole. Sei o no intransigente? Meno, meno di questo: se pensi una cosa di me, togline un poco, cala di un grado e io ti rispondo eccomi.

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Avanza la fronte, una lentezza bollente, si appoggia alla mia, un lasco di capelli suoi sulle mie tempie di pelo corto e il suo fiato che sale nelle mie narici e il mio respiro che non riesco a sentire e si sta così vicini da rimanere fermi.
Ora spinge con la mano la mia nuca a schiacciare le nostre facce all'attaccatura delle bocche.
Ora respirano solo i nasi.
Poi spetta alle mani muoversi per darsi pace.
Per imbarazzo di tenersi, non diciamo niente.
Faccio piano per non scaraventare forza addosso a lei, così cresce la sua.
Sta sopra di me, sbatte sul mio petto a colpi cupi. Si tagliano così gli alberi, un colpo a fendere e una torsione per liberare il ferro dall'impatto. Laila suona quei rintocchi sopra il mio petto, io resisto orgoglioso un tempo lungo, quanto quello di un albero che acido il morde ferro che lo stronca. Così crollo e anche lei.
Mi accorgo di una sua carezza che mi asciuga. Dormo per qualche respiro.

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Ho quarant'anni e un sonno duro da prendere a calci per farlo smettere.
Mi chiamano il morto, nessuno dorme dove riesco io.
Nessuno sa da quanta vita non dormo.

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Penso anche a Selim che prega a ogni addio del giorno. Ci sono umiltà che ingrandiscono un uomo.

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Ti voglio, dice, mi spetti e a te spetta di allargare braccia e tenermi.
Ti amo per amore e per disgusto di uomini, ti amo perché sei integro anche se sei avanzo di altra vita, ti amo perché il pezzo che resta vale l'intero e ti amo per esclusione degli altri pezzi spersi.

Erri de Luca, Tre cavalli

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