domenica 5 maggio 2013

la moneta di un falsario

Alla fine di un giorno in parete mi guardo le mani che mi hanno guidato. Penso che sono sorde, mute, cieche eppure vanno innanzi. A loro basta il tatto, il più diffuso sistema di comunicazione del corpo.

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Non ho voluto risalire a prima della mia nascita. Non sento affinità con altri figli di criminali di guerra. Ognuno si è arrangiato secondo la ruggine che si è trovato nel sangue. Ho avuto in sorte di non trascinarmi dietro un nome maledetto, come la catena di fantasma. Ho avuto un nome finto che per me è stato vero. L’ho spacciato per mio sapendo che era la moneta di un falsario.

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Però portava nelle mosse il silenzio di uno che non sente e perciò evita di produrre un rumore che non può ricevere.

Erri de Luca, Il torto del soldato

educazione siberiana

Gli adulti hanno cominciato a fare attentati al pollo, il quale mantenendo sempre la calma e in maniera decisamente efficace riusciva ogni volta a sfuggire. Dopo un quarto d'ora d'inutili tentativi, i tre uomini erano senza fiato, e guardavano il pollo che con la stessa determinazione di prima continuava a scavare la terra e a farsi i suoi affari da pollo. Mio padre mi ha sorriso, dicendo:
- Lasciamolo vivere, questo pollo. Non ammazziamolo mai: che stia qui, in giardino, libero di fare quello che vuole.
La sera ho raccontato a mio nonno quello che era successo. Lui ha riso tanto, e poi mi ha chiesto se io ero d'accordo con la decisione di mio padre. Gli ho risposto con una domanda:
- Perché liberare quel pollo e non gli altri?
Nonno mi ha guardato con un sorriso e ha detto:
- Solo chi apprezza veramente la vita e la libertà, e combatte fino in fondo, merita di vivere libero... Anche se è un semplice pollo.
Io ci ho pensato un po' su e gli ho chiesto:
- E se tutti i polli un giorno diventano come lui?
Dopo una lunga pausa nonno ha detto:
- Allora bisognerà abituarsi a cenare senza zuppa di pollo...
Il concetto della libertà è sacro per i siberiani.

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Dopo mi sono capitate molte cose, ma passando tra tutte le esperienze ho continuato a pensare che la legge siberiana aveva ragione: nessuna forza politica, nessun potere imposto con una bandiera vale tanto quanto la libertà naturale di una singola persona.

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Abbiamo cominciato a vederci, a scambiarci libri, e nel giro di poco tempo abbiamo sviluppato un rapporto che di solito le persone educate chiamano «intimo», ma che nel mio quartiere si definiva con ben altre parole: «sporcare le lenzuola insieme».

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Nella «Pravda» qualsiasi notizia veniva trasformata in una fonte di pura propaganda: anche quando leggevi di disastri e guerre, alla fine ti veniva un senso di felicità e ti sentivi fortunato a essere finito in Urss. Non so come mai Boriška era così affezionato a quel giornale, una volta ho cercato di chiederglielo, e lui mi ha risposto letteralmente così:
«Quando sei costretto a sentire cantare le vacche, bisogna sfruttare almeno la possibilità di scegliere quella che canta meglio».

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Dopo tanti pensieri e discussioni con me stesso sono arrivato alla conclusione che non si risolve niente con il coltello e le botte. Così sono passato alla pistola.

Nicolai Lilin, Educazione siberiana