Però... c'è chi beve e si vanta della sua ubriachezza... c'è chi si ubriaca e poi si vergogna dei suoi sentimenti... io osservo tutto questo e lo sopporto bevendo. Un bicchiere è un'arma impropria quando lo appoggi vicino al cuore... la vita va corretta, eccome, è troppo dura da buttare giù liscia... il bar non te li regala i ricordi, ma i ricordi ti riportano sempre... al bar
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Anch'io non ero messo meglio. Andammo al solito locale e ci ubriacammo della tequila col verme, quella della gioventù... ne bevve parecchia e poi ancora... alla fine non sollevava nemmeno il bicchiere, lo prendeva direttamente con i denti e lo mandava giù. Aveva atteso quel momento se l'era procurato a lungo. Quando l'alcolico gli si sciolse bene in corpo prese una sigaretta, l'aspirò forte e se la appoggiò sulla carne del braccio. Il dolore non lo sentì quasi... si bruciò la carne con una specie di piacere, sorridendo sardonico... per sentire un dolore più forte del suo disse... avere dolore significa essere vivi, bisogna tenerselo caro.
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...Quando non si è nella luce ci si contenta di sentire delle ombre. Ombre nel cammino come alberi attorno a un viale. Soltanto i marciti, gli incattiviti non fanno ombra attorno a sé. L'ombra è la ricchezza che non si vede, ma rende luccicante il cammino là dove si deve andare da soli. Per quei viaggiatori soli, quelli che arrivano più lontano, ci vogliono le ombre. Per non perdersi del tutto. Che così passano tra gli uomini, donandogli a loro volta il bagliore, la perla che essi hanno intravisto.
Nella nostalgia e nell'euforia. Così sono quelli che arrivando a sé trovano anche la vita, e nella loro ebbrezza c'è la perla. Quelli che ancora si addentrano nella notte, nelle pieghe, nelle visioni, e rimangono altro da sé. Cantano celebrando, e allora soltanto amano. E amano così, come nella sbornia, nella luce che gli si apre davanti a squarci, e poi ritornano quelli di prima, peggio di prima, per quanto poco sopportano di ritrovarsi.
E tutto li fa soffrire e li ottunde... il miracolo appena accaduto, perfino. Non li appaga affatto! Continuano, come per acciuffarne ancora, però non si sa quando succede. Sono iracondi e non lo sanno fare a comando. Perciò soffrono come cani, come cani soli, rimpiangendo sempre la sera prima. E ogni cosa intravista è per loro un sorriso tra i denti nell'estasi e un lutto. Però... dignitosi. Nel continuo ombreggiare intricato, dignitosi. Come chi possiede qualcosa. Solo allora finisce. Senza abbracci si ritorna...
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Anch'io non ero messo meglio. Andammo al solito locale e ci ubriacammo della tequila col verme, quella della gioventù... ne bevve parecchia e poi ancora... alla fine non sollevava nemmeno il bicchiere, lo prendeva direttamente con i denti e lo mandava giù. Aveva atteso quel momento se l'era procurato a lungo. Quando l'alcolico gli si sciolse bene in corpo prese una sigaretta, l'aspirò forte e se la appoggiò sulla carne del braccio. Il dolore non lo sentì quasi... si bruciò la carne con una specie di piacere, sorridendo sardonico... per sentire un dolore più forte del suo disse... avere dolore significa essere vivi, bisogna tenerselo caro.
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...Quando non si è nella luce ci si contenta di sentire delle ombre. Ombre nel cammino come alberi attorno a un viale. Soltanto i marciti, gli incattiviti non fanno ombra attorno a sé. L'ombra è la ricchezza che non si vede, ma rende luccicante il cammino là dove si deve andare da soli. Per quei viaggiatori soli, quelli che arrivano più lontano, ci vogliono le ombre. Per non perdersi del tutto. Che così passano tra gli uomini, donandogli a loro volta il bagliore, la perla che essi hanno intravisto.
Nella nostalgia e nell'euforia. Così sono quelli che arrivando a sé trovano anche la vita, e nella loro ebbrezza c'è la perla. Quelli che ancora si addentrano nella notte, nelle pieghe, nelle visioni, e rimangono altro da sé. Cantano celebrando, e allora soltanto amano. E amano così, come nella sbornia, nella luce che gli si apre davanti a squarci, e poi ritornano quelli di prima, peggio di prima, per quanto poco sopportano di ritrovarsi.
E tutto li fa soffrire e li ottunde... il miracolo appena accaduto, perfino. Non li appaga affatto! Continuano, come per acciuffarne ancora, però non si sa quando succede. Sono iracondi e non lo sanno fare a comando. Perciò soffrono come cani, come cani soli, rimpiangendo sempre la sera prima. E ogni cosa intravista è per loro un sorriso tra i denti nell'estasi e un lutto. Però... dignitosi. Nel continuo ombreggiare intricato, dignitosi. Come chi possiede qualcosa. Solo allora finisce. Senza abbracci si ritorna...
Vinicio Capossela, Non si muore tutte le mattine
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